Una giornata avvolta dalla nebbia. Appena qualche istante fa, è giunta la chiamata del mio caporedattore, con il quale collaboro da ventinove giorni. Mi ha comunicato che, se non consegno entro oggi un articolo di rilievo, degno della prima pagina e in grado di scuotere i lettori, rischio il licenziamento. Non intende continuare a pagarmi per piccoli pezzi relegati in fondo al giornale. Se non riesco a svolgere il ruolo di redattore, posso al massimo accettare una posizione inferiore, diventando un cronista sul campo. Nel peggiore dei casi, potrei finire per essere licenziato!
Con irritazione e senso di impotenza, sono uscito per strada. Attraversando la nebbia, sembrava che il mondo fosse stato inghiottito da un susseguirsi sempre più fitto di vapori.
Incidentalmente, ho incrociato un uomo accovacciato sul marciapiede. Mi sono scusato, ma le mie parole sono cadute nel vuoto. L’uomo ha risposto, la sua voce ha interrotto la mia realtà, trasportandomi nella sua.
“Le scuse sono inutili. Non mi aiuteranno a ricevere un trattamento normale da parte di persone normali”, ha detto.
“Ma chi o cosa è veramente ‘normale’?”, ho chiesto io.
“Guarda, hai tutti i sensi intatti, il tuo corpo è in perfetto stato, eppure mi hai urtato, quasi calpestandomi. Ti capisco, sei distratto. Io non posso permettermi di distrarmi. Devo lottare durante la giornata e… accettare che la malattia con cui sono nato sia la ‘normalità'”, ha spiegato.
“Capisco. Anch’io non posso permettermi di distrarmi. Forse oggi stesso perderò il lavoro, rimarrò di nuovo senza mezzi di sussistenza. Inciampavo involontariamente, la mia mente non era ancorata al presente, vagava lontano in un mondo inesistente”, ho condiviso.
“Sì, ma nessuno ti guarda con finta compassione, né con disprezzo, né con…”, ha replicato lui.
“Forse non mi guardano affatto. Passo inosservato. Tu hai il vantaggio di essere comunque notato”, ho riflettuto.
“Avrei preferito di no…”, ha sospirato lui.
Sono stato incuriosito da quell’uomo sul marciapiede. Mi sono seduto accanto a lui e ho notato la mia mancanza di compassione per la sua situazione, sentendo invece una sorta di diritto a ricevere io compassione.
“Per favore, permettimi di intervistarti, forse non cambierà il mondo, ma vale la pena far sentire la tua voce, raccontare al mondo quello che stai passando”, ho proposto.
“Sei un giornalista, uno di quelli che manipolano la verità…”, ha osservato lui.
“Si potrebbe dire così. Ma ora mi dai l’opportunità di dire la verità, vero?”, ho chiesto io.
“Quindi mi aiuti prima di tutto, ma nello stesso tempo mi stai usando!”, ha accettato lui. E così ha avuto inizio una conversazione che ha portato a riflessioni profonde sulla normalità, sull’accettazione e sull’aiuto reciproco. “Dimostrami le domande che sai fare…”
“Cominciamo con questa: qual è la tua routine giornaliera tipica?”
“Si inizia come al solito, o almeno così credo. Mi sveglio con un sorriso, consapevole di affrontare un altro giorno. Spero che sia un giorno soleggiato, con eventi che, se non memorabili, almeno non peggiorino quanto successo ieri”.
“E cosa è successo ieri?”
“Ieri mi sono ritrovato escluso da quasi ogni luogo, nessuno sembrava disposto ad accettare una persona con disabilità. L’autista dell’autobus sembrava infastidito dal dovermi assistere con le scale speciali, i negozi erano inaccessibili, la gente per strada mi guardava con falsa compassione. È come se la mia presenza, in qualche modo, desse un senso di felicità agli altri, rendendo la loro giornata migliore. Ma alcuni sembravano arrabbiati, come se la mia presenza rovinasse loro la giornata… Potrei continuare, ma…”
“Quale sarebbe, secondo te, una giornata davvero bella?”
“Vorrei essere riconosciuto per le mie competenze e capacità, piuttosto che essere giudicato per la mia disabilità. Vorrei che le persone vedessero prima di tutto il mio essere umano, senza bisogno di compassione o elemosina. Vorrei che le opportunità fossero accessibili a tutti, senza pregiudizi”.
“Hai amici? Se sì, sono anche loro disabili?”
“Cerco di essere amico di tutti, ma la maggior parte dei miei amici proviene dalla scuola speciale locale, dove ho incontrato bambini con disabilità. Gli adulti, invece, sono pochi. I bambini mi ispirano con il loro ottimismo e la loro resilienza contro il bullismo”.
“Come fai a sbarcare il lunario senza chiedere l’elemosina? Hai aiuti dallo Stato?”
“La mia famiglia mi sostiene per quanto può, anche se preferirei non essere un peso per loro. Ricevo una pensione, ma devo continuamente dimostrare la mia disabilità per mantenerla. È un processo frustrante, ma capisco le necessità del sistema”.
“Hai mai detto ai bambini della scuola speciale che il loro futuro è incerto, che potrebbero finire come te, senza lavoro e inutile?”
“La loro educazione è fondamentale per il loro futuro. Non possiamo privarli dei loro sogni e delle loro speranze solo perché il futuro è incerto. Hanno bisogno di opportunità e supporto per realizzare il loro potenziale, proprio come chiunque altro”.
“Scusa se sembro provocatorio…”
“Non c’è bisogno di provocazioni. Smettiamola qui”.
“Un’ultima domanda: sei disposto ad aiutare una persona normale come me a comprendere e accettare se stessi?”
“Forse dovresti cercare la tua vera passione anziché fare domande superficiali. Per me, la vita è una lotta quotidiana per accettare me stesso e trovare un senso di appartenenza. Ma forse non puoi capire”.
“Chiudo il registratore. Grazie per il tuo tempo e ti confesso una cosa, la mia vita è una lotta costante. Non ho amici veri né una direzione chiara. Forse ho bisogno di più di un Dio vagante, ma di una vera speranza per il futuro”.
Il resto della giornata è trascorso in un turbinio di emozioni e rivelazioni. Alla fine, ho capito cosa dovessi fare. Lui mi ha portato a quella scuola dove ho conosciuto gli alunni speciali.
Ho lasciato il mio lavoro al giornale e domani mi trasferirò in un appartamento vicino alla scuola speciale. Ho trovato la mia vera vocazione!
Epilogo
Dopo un anno.
Una soleggiata giornata primaverile, un giornalista intervistava un uomo al cancello della scuola speciale. Quell’uomo ha aiutato moltissimo i bambini disabili e in qualche modo è diventato famoso in città. Come sperimentatore del mestiere in passato, l’intervistato si rende conto che questo giornalista non sa porre domande in modo oggettivo. Dall’altra parte della strada, oltre l’incrocio, una sedia a rotelle si muove via lentamente. Mentre va via il disabile capisce che, attraverso il suo aiuto, è diventato parte di quella normalità inclusiva che abbraccia ogni essere umano.